La parole sono pietre, diceva Carlo Levi, riferendosi alle parole che raccontavano il dolore della madre del giovane sindacalista Salvatore Carnevale, ucciso dalla mafia. E le parole con le quali Carlo Levi descriveva l’ingiustizia del mondo contadino meridionale, erano pietre scagliate contro i responsabili dell’ingiustizia.
Ma le parole si possono usare come pietre anche con intenti molto diversi e molto meno nobili di quelli di Carlo Levi. Perché comunque come pietre lasciano il segno,
La parole, come pietre, possono sfigurare persone, idee, fatti, concetti, principi. Le parole possono acquistare, se usate con la giusta tecnica comunicativa, un valore superiore a quello del concetto che gli si fa rappresentare.
Per esempio, la parola “solidarietà” esprime un concetto del cui valore positivo nessuno oserebbe dubitare (almeno pubblicamente). Nessuno oserebbe criticare pubblicamente la solidarietà. La parola “buonismo” si riferisce allo stesso concetto, ma con una accezione decisamente negativa. Basta usare la parola “buonismo” per superare il “tabù” della solidarietà e dare libero sfogo al proprio egoismo senza darlo a vedere.
Ma non basta; l’uso generalizzato della parola “buonismo” attraverso i mezzi di comunicazione di massa ha la forza di cambiare il concetto stesso di solidarietà: la solidarietà diventa ufficialmente “buonismo”.
E chi per scelta politica o anche religiosa cerca di promuovere la solidarietà diventa un pericoloso “buonista”; uno che mette a repentaglio la tenuta del debito pubblico, la crescita del PIL, la competitività e l’occupazione.
Ricordiamo anche "il libro con tutte le parole del mondo" di Giuseppe di Vittorio. Oggi non si può più negare ai bambini il libro con tutte le parole del mondo, anche se Tremonti e Gelmini ce la mettono tutta, ma si può sempre fregarli cambiandogli il significato delle parole mano a mano che crescono e sostituire il libro con tutte le parole con lo schermo con il minor numero di parole (con significato) possibile. Quelle che bastano per gli SMS.
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